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Manifesto per una nuova economia

Viviamo una stagione difficile con sfide che mettono a rischio il futuro della nostra civiltà. Siamo consapevoli di quanto il pensiero economico, nostro campo elettivo, svolga un ruolo fondamentale nella nostra cultura e quanto nella frontiera della ricerca siano ormai maturi risultati e consapevolezze che ci possono e devono spingere ad una visione che superi steccati e riduzionismi, come sempre è stato nella storia del progresso scientifico.
Per questo motivo abbiamo ritenuto che fosse maturo il tempo nel quale proporre assieme, colleghe e colleghi del mondo dell’università italiana e internazionale, un manifesto che illustri il potenziale generativo, di soddisfazione e di ricchezza di senso di vita, di risposta sostenibile che può provenire dalla nostra disciplina alle sfide di oggi.

Introduzione

Abbiamo il privilegio di fare un lavoro affascinante, una professione libera di ricerca e di pensiero. Viviamo tempi difficili nei quali come economisti/e siamo stimolati e chiamati dalla società a dare un contributo alla soluzione dei problemi di un sistema globalmente integrato, fino al Covid-19 e all’invasione russa dell’Ucraina, dove gli squilibri si amplificano in un contesto di forti interdipendenze.

Possiamo farlo con sempre più efficacia e generatività se, come in ogni epoca della ricerca scientifica, sfidiamo limiti e teorie che rappresentavano conquiste del passato ma oggi possono diventare ostacoli alla comprensione e alla soluzione dei problemi, alimentando prospettive riduzioniste che ci impediscono di cogliere appieno le potenzialità di azioni individuali, collettive e ricette di policy.

Per questo riteniamo che il pensiero e la ricerca economica debbano superare recinti e aprire nuovi percorsi (come in parte sta già accadendo) in quattro direzioni principali di ricerca ed in un quinto che riguarda invece l’approccio interdisciplinare e il nostro rapporto con la società. Una costellazione astrale interconnessa dal concetto di creazione di valore che l’uomo non può definire contro le leggi di natura, in primis l’imperativo categorico di Hans Jonas di salvaguardia della specie.

1. Superare l’homo oeconomicus

 Troppe volte il fondamento antropologico dei nostri modelli usa un’idea di persona androcentrica, incapace di cogliere il valore della diversità,  non corrispondente all’evidenza empirica sempre più ricca proveniente sia dalle risultanze dell’economia comportamentale, che dai risultati sulle determinanti della soddisfazione e della ricchezza di senso di vita.

Questi risultati rivelano chiaramente che l’essere umano è molto più di un massimizzatore di utilità il cui argomento principale, se non unico, è consumare più beni con più dotazioni monetarie. Scelte rivelate, dichiarazioni soggettive ed immagini neurali evidenziano che le nostre preferenze sono molto più ricche ed includono reciprocità, avversione alla diseguaglianza, altruismo puro o legato al nostro donare, gusto per l’impatto e la generatività delle nostre azioni, oltre ad evidenziare che, come esseri umani, diamo enorme valore alle relazioni, alla ricerca dell’identità e del senso della nostra esistenza.

Tutto ciò non è solo una disputa filosofica, ma diventa punto qualificante vitale quando riconosciamo che la chiave della prosperità della nostra vita è determinata dal successo delle relazioni caratterizzate da dilemmi sociali (dilemmi del prigioniero, giochi della fiducia) dove cooperare è difficile e rischioso ma redditizio e la logica riduzionista mina la cooperazione. In estrema sintesi la visione antropologica riduzionista porta in un vicolo cieco impedendo di attingere a quella superiore razionalità sociale che può mettere in moto cooperazione e superadditività. Ciò tanto più se, seguendo le neuroscienze, si riconosce che le emozioni possono configurare una soggettività sovra-individuale che si aggiunge, complementa e arricchisce quella puramente individuale.

2. Superare l’impresa shareholder-only

La ricchezza di preferenze e motivazioni sopra descritta trova una gabbia concettuale avvilente nell’idea che il lavoro non possa essere passione e realizzazione, ma solo fatica strumentale ad ottenere un reddito che ci consente di essere felici consumando nel tempo libero. E nell’idea che le organizzazioni in cui lavoriamo abbiano come unico scopo massimizzare il profitto. È oggettività e non wishful thinking voler abbattere questi steccati. Nella realtà di molte persone che vivono il loro lavoro come passione e vocazione, oltre che di una ricca varietà di organizzazioni sociali e produttive che perseguono finalità molteplici assolutamente non riconducibili all’unico scopo del massimo profitto. Tutto ciò necessita vari sistemi di governance a regolare diversamente i rapporti d’interesse tra gli stakeholder, in una pluralità di forme d’impresa (cooperative di consumo, di produzione, bancarie, di reinserimento lavoro, sociali, di comunità, B-corp, imprese benefit) e in una generazione di imprenditori che agogna l’impatto oltre il profitto. Non a caso, le aziende che si concentrano solo sul profitto e non interpretano i bisogni più ampi della società raramente sono luoghi di lavoro ambìti e generano più alti rischi ESG e di credito.

Questi risultati rivelano chiaramente che l’essere umano è molto più di un massimizzatore di utilità il cui argomento principale, se non unico, è consumare più beni con più dotazioni monetarie. Scelte rivelate, dichiarazioni soggettive ed immagini neurali evidenziano che le nostre preferenze sono molto più ricche ed includono reciprocità, avversione alla diseguaglianza, altruismo puro o legato al nostro donare, gusto per l’impatto e la generatività delle nostre azioni, oltre ad evidenziare che, come esseri umani, diamo enorme valore alle relazioni, alla ricerca dell’identità e del senso della nostra esistenza.

Tutto ciò non è solo una disputa filosofica, ma diventa punto qualificante vitale quando riconosciamo che la chiave della prosperità della nostra vita è determinata dal successo delle relazioni caratterizzate da dilemmi sociali (dilemmi del prigioniero, giochi della fiducia) dove cooperare è difficile e rischioso ma redditizio e la logica riduzionista mina la cooperazione. In estrema sintesi la visione antropologica riduzionista porta in un vicolo cieco impedendo di attingere a quella superiore razionalità sociale che può mettere in moto cooperazione e superadditività. Ciò tanto più se, seguendo le neuroscienze, si riconosce che le emozioni possono configurare una soggettività sovra-individuale che si aggiunge, complementa e arricchisce quella puramente individuale.

3. Superare il PIL verso migliori indicatori di wellbeing

La questione degli indicatori di benessere è decisiva per orientare le scelte di società e governi. È arcinoto che il PIL, metro base di performance macroeconomica nella guerra fredda con obiettivi diversi dal misurare il benessere, non è sufficiente per valutare la qualità della vita di un paese. Oggi servono indicatori multidimensionali per coniugare la creazione di valore economico con gli altri pilastri decisivi del futuro e della nostra felicità come sostenibilità ambientale (in ottica circolare), qualità e dignità del lavoro, valore delle relazioni e della generatività per abbattere gli ostacoli alla fioritura della vita. Del resto, solo misure che tengano conto anche della dimensione sociale e ambientale certificano una prosperità stabile.

4. Superare lo iato stato-individuo con la sussidiarietà

L’idea che un pianificatore benevolente possa colmare le distanze tra ottimo sociale ed ottimo privato in presenza dei tanti fallimenti del mercato che osserviamo (un deus ex machina tappabuchi che ripara dall’alto dando un alibi alla passività e pigrizia dei cittadini) è una visione semplicistica. Il pianificatore rischia di essere catturato dai regolati, di non avere tutte le informazioni per scegliere l’opzione migliore e potrebbe non puntare al benessere sociale, ammesso che lo si possa declinare con precisione. Ed è ingenuo pensare che sistemi di sanzioni ed incentivi bastino a orientare gli stakeholder verso il bene comune.

Perciò bisogna riconoscere che è cruciale per risolvere i fallimenti di mercato il coinvolgimento di cittadini consapevoli ed imprese responsabili che, in linea con il principio di generatività, capiscono che aumentare l’impatto sociale ed ambientale delle proprie scelte è il sentiero che porta alla soddisfazione e pienezza di senso di vita. Pertanto, oggi nel valutare una scelta di policy se ne deve misurare non solo l’impatto preciso ma anche quanto essa impatta su partecipazione, cittadinanza attiva e capitale sociale e civico, i fattori che creano lo spazio vitale per la sopravvivenza della democrazia. Infine, la sussidiarietà è indispensabile per sanare le piaghe della società e dell’ambiente ampliando la generatività e costruendo pace e felicità sul cammino di una utopia sociale percorribile, laddove invece genera povertà e conflitto l’asservimento dei cittadini in sudditi o l’aizzare i singoli verso false libertà.

5. Superare la deresponsabilizzazione valoriale dei silos con l’interdisciplinarietà, favorendo la generatività socio-ambientale del ricercatore

Con i nuovi problemi emergenti legati alla messa in discussione della scienza, alle manipolazioni della verità sui social media e al crescente analfabetismo funzionale diviene inadeguato il modello del ricercatore chiuso nella sua torre d’avorio, avulso dalla società, ed è invece urgente quella terza missione dell’impegnarsi in prima persona a saldare connessioni strette tra didattica, ricerca e ricadute sociali che da esse derivano. 

L’invito alle nostre colleghe e ai nostri colleghi, più giovani e meno, è di appassionarsi e lavorare insieme su questi filoni su cui si gioca il nostro futuro e il nostro destino (oltre che la reputazione della disciplina) alla ricerca di nuovi circoli virtuosi per dare risposta alle questioni pressanti ed urgenti che mettono a rischio la sopravvivenza della specie umana sul pianeta. Rendendo al contempo un servizio alla nostra professione e disciplina e al valore che la società è in grado di riconoscere ad essa grazie alla nostra capacità di spiegare e divulgare i risultati della nostra ricerca, stimolare formazione e conoscenza critica in chi ci ascolta e lavorare per offrire risposte e soluzioni ai problemi di oggi. Al contempo, assicurare senso alla scienza richiede interdisciplinarietà, radicamento del ricercatore nella società/territorio, volgendo in benefici le innovazioni tecnologiche, ove la specializzazione a silos deresponsabilizza, genera distonia dal comune sentire della società ed espone a usi irresponsabili e mercenari delle tecnologie ivi inclusa la sistematica produzione di depistaggi da fake news.

Le sfide che stiamo vivendo pongono dunque l’umanità di fronte ad un bivio. Come economisti/e possiamo e dobbiamo fare la nostra parte facendo un passo avanti nella comprensione e nelle risposte e rendendo il respiro della nostra disciplina più ampio e più capace di cogliere ostacoli e potenzialità di sviluppo economico, sociale ed umano. Non perdiamo quest’occasione

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